domenica 23 agosto 2015

Finché c'è vita c'è speranza



“… Mi colpisce la solidarietà fra l’assassino e il pescatore. Sento di poter individuare una sorta di identificazione fra il pescatore e Gesù. Anche l’uomo di Nazareth divideva i pani e i pesci con gli uomini della peggior risma… anche se uno è stato un assassino, non si può lasciare senza acqua e pane, il pescatore – anziano, con il suo solco lungo il viso – nella vita ne ha viste tante e sa bene che si può perdonare anche chi ha ucciso…”.
Don Andrea Gallo, da “Sopra ogni cosa. Il vangelo laico secondo Fabrizio de André nel testamento di un profeta”, Edizioni Piemme Spa, Milano.

Don Andrea Gallo:
  •          Il prete anarchico;
  •          Il prete di strada;
  •          Il prete di sinistra.

Una voce fuori dal coro che ha saputo parlare di Gesù, dal basso delle periferie, intrise del dolore della delinquenza.
L’assassino della ballata di De André è stato accolto dal pescatore, come persona, con la sua dignità, nonostante gli sbagli che abbia potuto commettere nella vita. L’accoglienza dell’altro nella sua diversità è il primo insegnamento che dovrebbe derivare dall’Amore Cristiano. Dall’accoglienza può nascere la redenzione. Spesso invece, i cosiddetti Cristiani sono intolleranti verso chi è diverso da loro, verso coloro che peccano. E scagliano le pietre!

Non siamo in grado di stare l’uno davanti all’altro, guardarci negli occhi e dire quanto abbiamo bisogno d’amore, di considerazione, d’accoglienza. Siamo troppo impegnati nel lavoro, nella corsa all’acquisto dell’ultimo smartphone uscito, per fermarci ad ascoltare i nostri bisogni interiori. Questi ultimi sono stati sostituiti dai bisogni esteriori di conformità a status symbols ormai dominanti, caratteristici dell’attuale società narcisistica.

È per seguire i bisogni esteriori di cui sopra, che molti si danno alla delinquenza: è più facile far soldi spacciando droga, piuttosto che lavorare 8 ore al giorno. Con l’incalzare della disoccupazione e della crisi economica poi, la disperazione e la rabbia aumentano a dismisura e in molti casi si giunge alla legittimazione dell’illegalità. Quest’ultima è aumentata ormai, in tutti gli strati sociali!

Ecco allora che ci ritroviamo con i carceri affollatissimi, carichi di delinquentucci e di immigrati clandestini, altri disperati che corrono verso un illusorio mondo migliore.

I grandi delinquenti, quelli che tirano le fila, non sono in carcere, sono liberi di operare in tutta tranquillità, ma questa è un’altra storia!

Affrontare i problemi dei carceri sovraffollati, degli immigrati clandestini, della delinquenza dilagante, è di sicuro necessario. Ma per cambiare le cose veramente, bisogna cambiare prospettiva e tornare a valorizzare il nostro mondo interiore: quello che ci mette in contatto con la nostra natura umana e divina; quello che ci permette di accorgerci dei nostri bisogni e di quelli degli altri; quello che ci rende capaci di accogliere l’altro in quanto portatore di dignità, di qualsiasi colore o religione o sessualità sia e qualsiasi cosa abbia fatto nella vita.

Forse sono in preda a un delirio che vagheggia un’utopia, ma voglio gridare lo stesso, prendendo in prestito un antico motto: “Finché c’è vita c’è speranza”!
E c’è veramente… speranza di riscatto, di perdono, di redenzione.