venerdì 15 luglio 2011

Bambino ADHD in classe: punto di vista di un educatore

Occupandomi di un bambino diagnosticato ADHD di nome Marco (nome inventato, di seguito M.) per oltre 4 anni alla Scuola Primaria, ho potuto notare che le difficoltà maggiori le hanno più i genitori dei compagni e gli insegnanti, che i bambini stessi.
I compagni di M. sono stati e sono tuttora molto affettuosi e comprensivi, nonostante possano arrivare ad un limite di sopportazione che sfocia poi nel malcontento evidente!
Ci sono anche molti atteggiamenti accoglienti la “diversità” di M. da parte dei compagni, arrivando a comportamenti finanche accudenti. In queste occasioni è evidente come una “diversità-fragilità” possa indurre sentimenti di affettività genitoriale da parte dei coetanei. Allo stesso modo i bambini possono arrivare ad assumere ruoli normativi, quando stanno accanto a M., aiutandolo a fare i compiti o quando gli danno indicazioni comportamentali.
I bambini sembrano molto creativi nell’inventare modi di stare con chi ha delle difficoltà, sanno superare il fastidio causato dall’esuberanza di un bambino iperattivo, per arrivare a interagire con lui in modo efficace, servendosi anche dell’adulto come mediatore.
In alcuni momenti, tuttavia, ho notato quanto i compagni provochino M. affinché crei scompiglio in classe: dopotutto un certo Freud definì il bambino “perverso polimorfo”, cioè in grado di procurarsi soddisfazione libidica in differenti modi perversi, estendibili a mio avviso, anche alle relazioni sociali con i pari. Attraverso le dinamiche relazionali l’individuo, in questo caso il bambino, può trovare soddisfazione nel provocare una reazione violenta da parte del bambino iperattivo, per le motivazioni più disparate.
Ho potuto vedere, per esempio, bambini che dopo aver provocato M. con un gesto, correvano da me per farsi difendere, mettendosi dietro di me e chiedendomi aiuto con un’espressione ibrida che esprimeva paura, divertimento ed eccitazione.
Spesso ho visto i compagni di M. provocarlo perché si creasse panico in classe:
è una soddisfazione forse “sadica” indurre M. a reagire in modo violento contro i banchi, gli astucci, le insegnanti, i compagni, l’ AEC?
Oppure può essere gratificante per il bambino vincolato ad una condizione di “normalità”, provocare le reazioni aggressive nell’unico bambino che è quasi legittimato ad averne, visto che è un bambino con problemi, che ha la maestra di sostegno e l’AEC? Insomma un modo per vivere l’aggressività proiettandola sull’altro e vedendola agita dall’altro?

A voi la risposta!
 
La gestione efficace del bambino iperattivo in classe e non solo, dipende anche dal comportamento che l’adulto assume. Ho potuto notare diversi comportamenti degli adulti che purtroppo sono stati inefficaci, ad esempio:
1.   Le insegnanti possono mostrare insofferenza per la presenza del bambino iperattivo in classe attraverso atteggiamenti che portano a considerare il bambino come un elemento da tenere il più possibile lontano dai compagni. Per legittimare un tale comportamento si adducono come motivazione, i comportamenti esuberanti dell’iperattivo, che possono essere non solo disturbanti per l’intera classe ma anche pericolosi per l’incolumità degli altri bambini. Tutto ciò provoca un isolamento del bambino ADHD e una svalutazione delle possibili potenzialità da stimolare nel bambino.
2.   I genitori dei compagni dell’iperattivo possono lamentarsi pesantemente della presenza del bambino che spesso fa dispetti, sputa, tira calci, schiaffi, pugni ecc., finanche minacciando di fare denuncia alla Scuola se il loro figlio torna a casa con un graffio o con un livido. Questo comportamento evidenzia una scarsa capacità di mettersi al posto degli altri e provare a comprendere le difficoltà che, dopotutto, avrebbero potuto avere anche i loro figli.
 Esempio di comportamento efficace:
3.   Le insegnanti e i genitori dei compagni del bambino iperattivo possono cercare di comprendere la natura del disturbo, cercando di mettere da parte il desiderio di avere meno rogne possibili e piuttosto di considerare il fatto che un bambino con tali difficoltà può essere occasione per gli altri bambini, di maturare una sensibilità verso la diversità, specialmente se la diversità costituisce motivo di malessere personale e d’isolamento. I bambini cosiddetti “normali” possono essere così aiutati a considerare quello “anormale” come uno di loro, che ha bisogno di comprensione e aiuto. Questi bambini, aiutati da adulti comprensivi, possono concorrere attivamente all’ integrazione del bambino iperattivo, facendo probabilmente la parte più grossa e importante. È da loro infatti che M. ha avuto maggiore motivazione al cambiamento delle proprie modalità comportamentali, non lo sono state le punizioni, né i moniti genitoriali.
Purtroppo devo concludere che molte scuole primarie e non solo, sono poco preparate a interagire efficacemente con bambini ADHD o DSA o aventi altri tipi di disturbi. Non c’è una mentalità volta all’ascolto e alla comprensione delle difficoltà dell’altro, piuttosto si pensa allo svolgimento del programma ministeriale, non si ha tempo per lavorare sulla socializzazione dei bambini all’interno della classe, anche in assenza di bambini “problematici”, figuriamoci in loro presenza!
Mi auguro che in un futuro prossimo ci sia un cambiamento di rotta nelle scuole, volto a considerare maggiormente la necessità che hanno i bambini di vivere la scuola come un’agenzia educativa e di socializzazione, in cui poter imparare a “fare gruppo”, a essere collaborativi e non competitivi, a gestire i conflitti; in cui possano imparare a contattare le proprie e le altrui emozioni, positive e negative e a riconoscerle, tutte, come legittime.
Insomma spero che le scuole possano diventare luoghi dove s’impari sì a “leggere, scrivere e a far di conto”, ma soprattutto dove s’impari a VIVERE!  



Nessun commento:

Posta un commento